martedì 15 settembre 2015

IL POPOLO MAPUCHE by Giuliana

Nell'avvicinarmi al popolo Mapuche, alla sua storia e alla sua recente lotta per la conquista dei diritti fondamentali, un elemento in particolare assume rilevanza, rappresenta forse una sorta di "messa a fuoco" per leggere e capire un universo così affascinante e differente, distante dalle modalità con cui siamo abituati a pensare noi stessi e l'altro, noi stessi e il mondo che ci circonda. La chiave di lettura è il nome stesso di questo popolo del sud del mondo, che per secoli ha abitato la terra che Neruda descrive come un petalo che si allunga sul mare, il Cile. Mapuche significa infatti "popolo della terra" (mapu=terra, che=uomo). Ed è proprio il rapporto con la terra il fondamento da cui muovono e in base al quale prendono forma la cultura, l'organizzazione politica e sociale, l'economia e la stessa vita quotidiana del popolo Mapuche.
Le loro battaglie, la lunga ed estenuante resistenza al dominio spagnolo così come la lotta e le rivendicazioni che stanno portando avanti dalla fine della dittatura di Pinochet a tutt'oggi, acquisiscono il loro senso reale e profondo a partire da un peculiare rapporto con la terra, dall'intenso sentimento di appartenenza ad un suolo e ad una natura pervasi di sacralità in ogni aspetto e manifestazione. Dalla terra, dalla natura, nasce la vita e proviene la morte, è insegnata all'uomo la saggezza e il modo in cui dev'essere condotta l'esistenza. La natura guarisce e consente la comunicazione con la sfera divina, è pervasa da forze misteriose e sconfinate, parla e ascolta, circonda e invade. L'uomo è minuscolo, non è al centro di qualcosa, ma inserito in meccanismi e dinamiche che lo contengono e in cui egli stesso è contenuto, non può che avere uno sguardo di meraviglia e gratitudine, timore. Non domina, ma neppure è completamente assoggettato a qualcosa, passivo. Sembra piuttosto un'ombra danzante su di una parete, che si mescola e si confonde in un tutto che risulta essere, infine, armonioso.
In tutto il Sudamerica i Mapuche sono l'unico popolo che è riuscito a resistere alla dominazione spagnola per oltre trecento anni, in un alternarsi di attacchi alle postazioni spagnole nei momenti di esasperazione e sopruso, difesa dei territori rimasti terra indigena e periodi relativamente pacifici in cui avvenivano incontri tra capi delle comunità e autorità dell'esercito, scambi commerciali, accordi di pace. Il confine tra terre mapuche e terre in mano ai conquistatori europei non fu mai netto e immobile, continuò sempre ad oscillare verso sud o verso nord a seconda dell'esito delle battaglie, contribuendo così a creare un clima di tensione ed incertezza per i nativi e di sconcerto per i conquistatori, increduli di fronte alla determinazione e alla capacità di resistere di coloro i quali essi definivano "selvaggi".
L'incontro- scontro tra europei e nativi, nelle Americhe, è un argomento che è stato ampiamente dibattuto e al cui proposito è possibile trovare una bibliografia ampia e interessante, differenti punti di vista ed opinioni. Le barbarie compiute dai cosiddetti popoli civili nei confronti delle popolazioni indigene è un fatto ormai tristemente noto, come è noto l'effetto di distruzione a livello sia culturale che sociale che la Conquista ebbe sui nativi. La resistenza e la perseveranza nella difesa del proprio mondo, dei propri diritti e delle proprie tradizioni appaiono disperate e preziose, e hanno creato una rete di scambi e di sostegno a livello internazionale. 
Un punto di vista che mi pare significativo citare è quello dello studioso Sergi Villalobos R. che sostiene una posizione di critica verso le attuali rivendicazioni dei mapuche, considerandoli protagonisti essi stessi della dominazione subita. Lo storico comincia esponendo un fenomeno secondo la sua opinione universale, che si ripeterebbe ovunque una cultura avanzata si impone su un'altra meno evoluta: un popolo che viene gradualmente conquistato e sottomesso verrebbe inevitabilmente attratto e quindi soggiogato dai beni portati dall'invasore, che diventerebbero col tempo necessari e fonte di prestigio. Secondo Villalobos questo processo di assimilazione avrebbe caratterizzato il popolo mapuche, che sarebbero stati affascinati da ad esempio dall'uso del cavallo, del ferro e dal consumo di alcolici. Allo stesso modo la lingua castigliana e la morale cristiana si sarebbero lentamente imposte sulla cultura e la tradizione precedenti. La lotta degli Araucani contro gli Spagnoli, infine, sarebbe stata di minore durata e intensità di quello che si è creduto sinora, dal 1662 gli scontri sarebbero stati sporadici, eccezioni ad una pacifica vita di frontiera. Inoltre il fronte degli Araucani, sostiene ancora Villalobos, sarebbe stato per nulla unito, data la presenza di contingenti di "indios amigos" a poco a poco incorporati nell'esercito spagnolo. Lo storico conclude definendo i mapuche come "parte dell'apparato di dominazione", dal momento che avrebbero accettato la sottomissione e si sarebbero adattati ad essa in cambio dei benefici portati dai bianchi, di una civilizzazione materiale. A questa visione piuttosto spietata, risponde con fermezza e precisione il sociologo Danilo Salcedo Vodonizza con un interessante analisi che esordisce sostenendo che il popolo Mapuche, con le sue peculiarità culturali, sociali e religiose, è riconosciuto e rispettato in quanto tale dalla Comunità Internazionale.
Non è dunque possibile sostenere di trovarsi di fronte ad un popolo che si è assimilato alla cultura e al modo di vita dei dominatori, anche perché i benefici materiali di cui parla Villalobos e dai quali gli indigeni sarebbero stati attratti , per ottenere i quali avrebbero abbandonato le proprie tradizioni, non sono per nulla presenti nella vita e nelle odierne comunità mapuche. Uno dei maggiori problemi che caratterizzano le comunità odierne è infatti l'estrema povertà, l'emarginazione e la difficoltà a provvedere alle elementari necessità di sussistenza. Il sociologo presenta quindi l'immagine di una cultura che non ha mai rinunciato alle proprie tradizioni, ma che anzi è eroicamente sopravvissuta nonostante il dominio e l'influenza culturale straniera, continuando sempre a portare avanti la lotta per i propri diritti.
Nella realtà contemporanea, caratterizzata da una sempre maggiore globalizzazione economica, da una circolazione sempre più ampia di merci e da una crescente mobilità delle persone, è difficile trovare un posto alle tradizioni locali e individuare il modo giusto di mantenerle in vita senza però confinarle nella povertà, nell'arretratezza e nell'emarginazione. Com'è possibile mantenere una tradizione senza però restare isolati e in disparte rispetto ad un mondo che sembra muoversi sempre più nel globale, annullando differenze e peculiarità? Come si possono difendere e rivendicare queste peculiarità in un contesto di dilagante omogeneizzazione? La risposta è forse quella proposta da alcuni studiosi del fenomeno della globalizzazione e anche dai movimenti politici e culturali nati negli ultimi decenni, che vede la globalizzazione possibile come una globalizzazione innanzitutto culturale ed umana, dove cioè sia possibile uno scambio e una libera circolazione di idee e identità culturali, senza però che alcuna peculiarità venga intaccata, nel rispetto e nella rivendicazione dell'alterità.
Questi indios sudamericani, proprio per l'indole guerriera che li caratterizzava e che non permise agli Spagnoli di sottometterli, avevano spesso scontri violenti non solo con le popolazioni vicine ma anche fra gruppi interni allo stesso popolo mapuche, dal momento che non esisteva un'organizzazione politico- militare centralizzata e solida, ma una confederazione di tribù tra loro indipendenti. Gli Inca attribuirono ai Mapuche l'appellativo "Auca", che significa ribelle, feroce proprio perché essi opponevano resistenza alla loro dominazione, continuando a mantenere la propria organizzazione politica e sociale, senza mai sentire l'esigenza ne' di una maggiore centralizzazione, né di una società rigida e fortemente strutturata come quella incaica.
Già all'inizio del 1800 gli Araucani dominavano tutta la Pampa e la migrazione continuò anche nel periodo successivo, dal momento che le terre argentine avevano abbondanza di animali, cavalli, bovini e guanacos. Dal 1776 Buenos Aires divenne sede del viceré spagnolo, vennero costruiti un forte e un confine. In questa regione, presso Rio de la Plata, i rapporti con gli indigeni erano allora prevalentemente pacifici. Nel 1806 gli inglesi occuparono Buenos Aires, in questa circostanza molti capi Mapuche della Pampa offrirono il proprio aiuto agli Spagnoli, decidendo di unirsi a loro per combattere la nuova occupazione, ma gli Spagnoli rifiutarono l'offerta. Nel 1810 ebbero inizio in Sudamerica le lotte per la liberazione dal dominio spagnolo, che portarono alla costituzione degli stati indipendenti di Cile e Argentina.

Giuliana

Nessun commento:

Posta un commento